Spreco alimentare: cos'è e come si contrasta

A lungo tempo, fino a pochi decenni fa, la gran parte della popolazione globale aveva come prima preoccupazione quella di procurarsi cibo sufficiente a mettere insieme il pranzo con la cena. Oggi, dopo i grandi mutamenti economici e sociali del secolo scorso, tutto è cambiato nel mondo degli alimenti, a tal punto che il nuovo problema pressante che dobbiamo affrontare è di segno opposto: lo spreco alimentare.

La perdita e lo spreco degli alimenti sono fenomeni che si verificano a tutti i livelli, dalla produzione fino al consumo, e costituiscono una grave sfida per lo sviluppo sostenibile globale e, si può dire, un problema di rispetto per gli altri e per l’ambiente. Vediamo allora di fare il punto della situazione sullo spreco alimentare in Italia, in Europa e nel mondo, e come è possibile, nel proprio piccolo, affrontarlo.

Che cos’è lo spreco alimentare?

Il primo punto su cui soffermarsi riguarda la definizione di spreco alimentare. Non ne esiste una perfettamente univoca, poiché dipende dai punti di vista e dai metodi per quantificare il concetto di “spreco”.

Per chiarezza, ci si può rifare a quella elaborata dalla FAO (“Food and Agriculture Organization”, l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di aspetti alimentari e agricoli), che distingue tra:

  • perdite di cibo, ossia quelle diminuzioni degli alimenti, in termini di quantità o qualità, che si verificano nelle prime fasi della filiera agroalimentare (produzione, raccolta, stoccaggio e trasporto),
  • e sprechi di cibo, che hanno lo stesso esito (calo della quantità e della qualità degli alimenti) ma avvengono in momenti successivi, dalla rivendita al dettaglio fino al consumo domestico. Il termine “spreco”, poi, assume in italiano un significato generico, che talvolta include anche le perdite.

Bisogna inoltre approfondire l’argomento specificando quand’è che un alimento si può considerare sprecato (o perso). Per esempio: gettare delle verdure del tutto o parzialmente marce è uno spreco? E come ci si regola con le parti non edibili, come le bucce di banana, o edibili solo in alcuni casi?

Occorre considerare, infatti, che anche le parti non commestibili dei cibi possono avere una funzione ed essere utilizzate, per esempio per l’alimentazione animale, oppure per la concimazione dei campi o la creazione di energia: pensiamo ad avanzi di verdure, ossa e residui di carne, tutto quello che comunemente buttiamo nella spazzatura, insomma.

La questione, allora, si può semplificare in questo modo: qualsiasi tipo di spreco o perdita costituisce un problema, dal momento che tutti i cibi e tutte le loro parti possono in qualche modo essere reimpiegati: se li si getta si impedisce che possano essere riutilizzati con successo.

E non dimentichiamo che lo spreco è un fenomeno importante e consistente, seppure difficilmente quantificabile. Si pensi che, di tutto il materiale globalmente gettato ogni anno, ben il 44% è costituito da cibo o scarto verde, secondo statistiche della Banca Mondiale. Ciò significa che oltre un terzo del cibo prodotto annualmente viene sprecato o perso: si tratta di quasi 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti, seguite in buona parte anche alla vendita europea.

Dove si spreca e perché

Approfondendo il tema, potremmo chiederci in quali parti del mondo si spreca maggiormente il cibo. La risposta, in linea di massima, è semplice: ovunque. Tuttavia, occorre considerare con particolare attenzione come le tipologie di spreco nel settore primario siano differenti da un luogo all’altro: in questo caso, ci può tornare utile la distinzione già richiamata tra spreco e perdita.

Pensiamo ai Paesi in via di sviluppo, per esempio. Può sembrare strano, ma almeno il 40% di tutti gli sprechi alimentari mondiali avviene proprio nei Paesi in via di sviluppo, secondo alcuni dati della FAO del 2016, e questa percentuale non sembra destinata a scendere nel breve periodo.

Come mai? Il fatto è che nelle nazioni meno sviluppate il problema è la perdita alimentare, soprattutto, più che lo spreco. Sebbene anche quest’ultimo vada diffondendosi, in certe aree urbane, assieme al benessere della popolazione, il problema del secondo e del terzo mondo sta soprattutto nella perdita del cibo, cioè nel suo “spreco” durante le prime fasi di lavorazione (produzione e distribuzione, raccolto, stoccaggio).

Quali sono le cause? Prevalentemente, si tratta di una inadeguatezza strutturale e infrastrutturale, dovuta alla mancanza di tecnologie (o della loro implementazione), ai ridotti investimenti e all’incapacità di far fronte a determinate condizioni climatiche e ambientali. Per risolvere il problema, naturalmente, occorrerà un grande sforzo sia da parte delle eventuali imprese estere sia, soprattutto, da parte delle associazioni e delle popolazioni locali.

Per quanto riguarda invece i paesi sviluppati, è noto – e lo conferma ancora la FAO – che buona parte degli sprechi riguarda le ultime fasi della filiera, ossia proprio la distribuzione al dettaglio, la ristorazione e il consumo. Lo spreco è dovuto a un’offerta di cibo sempre più abbondante e a un palato sempre più selettivo da parte dei consumatori.

Le soluzioni, oltre ad alcune prescrizioni di legge, riguardano soprattutto una forma di sensibilizzazione ed educazione per la società, un qualche grande progetto a lungo termine per spingere le famiglie e per i singoli a un consumo più consapevole.

Quali sono le conseguenze dello spreco alimentare?

Molti tendono a pensare che, tutto sommato, lo spreco alimentare sia qualcosa che riguarda solo il consumatore finale: chi compra il cibo, si dice, ha anche il diritto di buttarlo. Tutto vero: non si considera, però, che sul lungo periodo il costante spreco di cibo ha conseguenze importanti a livello mondiale.

Infatti, produrre il cibo costa, e non solo dal punto di vista economico: la filiera agroalimentare ha un enorme impatto ambientale. L’attività agricola e l’allevamento richiedono ampie superfici di terra, sempre più sottratte alle aree boschive, ma anche forti riserve di acqua, e poi un servizio di trasporto costante ed efficiente, energia per confezionare o lavorare gli alimenti, e così via: tutti fattori che influenzano negativamente il cambiamento climatico.

Si pensi, inoltre, all’aumento delle emissioni di gas serra dovuto alla sovraproduzione di cibo sprecato, ma anche alla riduzione delle risorse di acqua, che in alcune aree del pianeta porta a peggiorare una situazione di approvvigionamento idrico già piuttosto grave. Per non parlare dell’impoverimento del suolo, che viene depauperato delle sue risorse a causa di coltivazioni intensive che, spesso, si rivelano superflue e nuociono alla biodiversità.

Le conseguenze di questo problema mondiale si avvertono anche in economia: da un lato, le produzioni intensive non portano ricchezza per i Paesi in via di sviluppo che, più che investimenti, ricevono sfruttamento; dall’altro lato, lo spreco alimentare produce un aumento dei prezzi generalizzato, in virtù del fatto che le eccedenze nell’acquisto alimentare comportano una forte crescita della domanda.

Tutto questo non deve colpevolizzare il singolo consumatore né, all’opposto, aiutarlo a ripulirsi la coscienza se acquista prodotti “green” o ricicla più del vicino. La responsabilità di ciascuno è infinitamente ridotta, specie se paragonata a quella dei grandi produttori multinazionali; tuttavia, quei piccoli gesti anti-spreco che tutti possono far propri hanno comunque un impatto, seppur minimo, sulla catena di consumo umano – e, non dimentichiamolo, anche sui propri risparmi.

Come contrastare lo spreco alimentare

Considerato ciò, allora, non possiamo che chiederci: come si possono combattere gli sprechi alimentari? Come abbiamo detto, ciascuno di noi può fare ben poco; ci sono però dei semplici accorgimenti – promossi anche dal Ministero della salute – che, nel nostro piccolo, possiamo tenere in considerazione, e che senza costarci fatica ci aiutano a ridurre le quantità di alimenti che sprechiamo quotidianamente.

  • Fare la spesa in maniera consapevole. Questo è senz’altro il miglior suggerimento di prevenzione per risparmiare cibo e denaro: occorre acquistare solo gli alimenti che si è certi di aver già terminato, cercare di non farsi ingannare da offerte speciali e formati famiglia, ed evitare scorte eccessive che portano a rischiare di dover buttare tutto. Un trucco utile prevede di fare la spesa sempre e solo a stomaco pieno: in questo modo, la fame non spingerà ad acquistare, impulsivamente, cibo di cui non si ha bisogno.
  • Tenere d’occhio le scadenze. Quante volte capita di acquistare prodotti quasi scaduti, o di dimenticare in frigorifero del cibo, sul fondo, lasciandolo andare a male? Si tratta, ovviamente, di comportamenti da evitare. Inoltre, non dimentichiamo che la dicitura della data di scadenza, “Da consumarsi preferibilmente entro…”, non indica che l’alimento non possa in nessun caso essere consumato oltre quel giorno: entro certi limiti, infatti, subirà solo una perdita di qualità organolettiche, che non inficia la commestibilità né la sicurezza del prodotto.
  • Sfruttare adeguatamente i metodi di conservazione. Dal più classico congelatore agli elettrodomestici per il sottovuoto, passando per i vasetti per conserve, marmellate, prodotti sottolio: si tratta di mezzi di conservazione che, grazie a una corretta gestione, si rivelano utilissimi per allungare la vita ai cibi e sprecare meno. All’opposto, bisogna evitare ogni forma di cattiva conservazione, che porta ad aumentare gli sprechi.
  • Individuare le ricette giuste. È bene acquistare solo ciò che si sa già come e quando cucinare, così da ridurre lo spreco e non comprare cibi che poi si rischia di non usare. Inoltre, con l’attuale tendenza al risparmio, stanno spopolando le ricette “svuota frigo”, che possono essere sfruttate per riutilizzare prodotti avanzati o, addirittura, degli scarti che altrimenti butteremmo, come le scorze di alcune verdure o il pane raffermo.