Additive manufacturing: cos'è e come funziona

In questi anni, l’innovazione apportata dalla cosiddetta Industry 4.0 mostra di avere le potenzialità per operare una rivoluzione della produzione industriale su scala globale: basti pensare all’intelligenza artificiale, all’IoT oppure alla robotica. Assieme a tutte queste tecnologie, però, andrebbe nominato anche l’additive manufacturing.

L’additive manufacturing consiste in un modo nuovo di realizzare i prodotti a livello industriale; man mano che si affermerà, permetterà di rinnovare dalle fondamenta non solo la produzione, ma perfino il consumo. Vediamo dunque nel dettaglio che cos’è l’additive manufacturing, come funziona e quali vantaggi porta.

Che cos’è l’additive manufacturing?

Il termine inglese additive manufacturing, traducibile letteralmente come “manifattura additiva” o “produzione additiva”, designa quel processo industriale di produzione che opera tramite la sovrapposizione di più strati di materiale.

L’additive manufacturing permette dunque la fabbricazione di prodotti finiti, semilavorati o componenti dei materiali industriali attraverso la fusione e l’addizione di materiale strato dopo strato, a cominciare da quelli inferiori fino a quelli superiori. In altri termini, si tratta della stampa 3D, o meglio, del processo produttivo che essa comporta: a partire da un file di progettazione in digitale, dei dispositivi appositi possono stampare rapidamente in tre dimensioni un oggetto, utilizzando diversi materiali.

Di conseguenza, l’additive manufacturing è un procedimento opposto a quello della manifattura standard, quella ancor oggi più utilizzata, che segue un percorso sottrattivo del materiale, non additivo. Si pensi alle operazioni industriali di fresatura, per esempio, o di tornitura: da un blocco unico iniziale si ricavano, grazie all’asportazione progressiva di materiale, determinati oggetti o parti funzionali.

Ad oggi, l’additive manufacturing sta conoscendo una rapida espansione e, in più di un settore, si avvia ormai a sostituire i più datati metodi tradizionali di lavorazione. Questo perché, nonostante i procedimenti della stampa 3D siano noti da decenni, solo di recente è stato possibile ridurre i costi dei macchinari ed espandere grandemente le possibilità che offrono.

Infatti, l’additive manufacturing odierno presenta numerosi vantaggi rispetto alle tecniche di produzioni 3D precedenti. Per esempio, le stampanti 3D moderne possono produrre oggetti in numero, dimensione e qualità maggiori in tempi più ristretti, possono utilizzare una vasta gamma di filamenti, permettono una prototipazione e una progettazione molto rapida, ma possono essere sfruttate anche per la personalizzazione degli oggetti in piccole serie grazie alla modellazione digitale.

Additive manufacturing: come funziona

L’additive manufacturing, come dicevamo, prende avvio dalla realizzazione di un progetto in digitale. È possibile sfruttare un’infinita varietà di hardware e software, e la maggior parte ormai è davvero intuitiva e spesso non richiede conoscenze o applicazioni particolari.

Si comincia, dunque, modellando tramite CAD l’oggetto da realizzare. La sigla CAD sta per “Computer Aided Design”, cioè “Progettazione assistita dal computer”, e indica l’utilizzo della computer grafica per creare un file che rappresenti un oggetto di qualsiasi genere; con il CAD 3D, in particolare, è possibile generare oggetti con uno specifico volume, tramite l’aggiunta e l’intersezione di blocchi e poligoni secondo le geometrie più opportune.

Il disegno è poi suddiviso in una serie di strati orizzontali, con un’operazione detta appunto “slicing”, ossia “taglio (a fette, a strati)”. Questi singoli strati sono quelli che la macchina dovrà poi seguire per realizzare il pezzo o il prodotto richiesto.

Dopo che il file di progettazione CAD è stato creato, il progetto viene inviato alla stampante 3D. Quest’ultima è dotata di un software di printing che decodifica e, per così dire, interpreta il file, permettendo lo sviluppo dei dati ottenuti e trasformando così ogni strato semplice del disegno in un percorso che l’erogatore, o gli erogatori, dovranno seguire per disporre il filamento fino ad ottenere l’oggetto in questione.

Quanto alla creazione effettiva del progetto, ciascuna stampante 3D opera secondo metodologie diverse, in base alla tecnologia di cui è dotata: esistono quelle che stampano rilasciando filamenti o gocce tramite un ugello, ma anche macchine innovative che sfruttano il laser o le luci per sciogliere la materia prima.

Le tecnologie dell’additive manufacturing

Diamo dunque una panoramica generale delle principali tecnologie dell’additive manufacturing, ossia del funzionamento della stampa e della realizzazione di oggetti in 3D.

La tecnologia più impiegata è la cosiddetta material extrusion, tramite la quale è possibile uno stampaggio a iniezione. È una tecnologia suddivisa a sua volta in varie sottocategorie, come la FFF (Fused Filament Fabrication) e la FDM (Fuse Deposition Modeling).

L’idea di base è quella più “classica” della stampa 3D: i filamenti del polimero plastico scelto (nylon, pet o altro, talvolta anche mescolati a metalli) sono raccolti in una bobina e collegati a un ugello o estrusore, che viene riscaldato e rilascia poi i filamenti fusi secondo le istruzioni del software, partendo dalla base, fino a creare le soluzioni previste dal progetto. Un livello dopo l’altro, gli estrusori si spostano di piano secondo diverse tecnologie, inclusi i bracci robotici, che si muovono in modo tale da creare livelli che reggano il peso della struttura.

Tale tecnologia, pur essendo relativamente economica, rapida e semplice – e, di conseguenza, assai diffusa, anche tra le stampanti 3D domestiche – non è la più precisa e affidabile per le imprese. Lo è maggiormente, invece, la stereolitografia, o polimerizzazione in vasca, che sfrutta una sorgente luminosa molto intensa oppure un laser per modellare un oggetto con proprietà superiori e resistenza migliore.

Nella stereolitografia laser si parte da un fotopolimero allo stato liquido, contenuto in una apposita vasca; esso viene colpito selettivamente da un raggio laser che lo solidifica. Il raggio è naturalmente proiettato in maniera tale da ricostruire, livello dopo livello, i piani del progetto inviato alla stampante. Nella stereografia laser è necessario un ulteriore passaggio in un forno a luce ultravioletta, per solidificare completamente il prodotto.

Tale tecnologia, ampiamente utilizzata per i prototipi industriali, è sconsigliata per l’uso casalingo, in quanto le resine impiegate durante l’utilizzo, in fase di lavorazione ad alte temperature, possono liberare dei gas blandamente tossici, e richiedono dunque alcune accortezze a livello di ventilazione per evitare problemi di sicurezza.

Tra le nuove forme di stereolitografia si può menzionare la DLP (Digital Light Processing), che utilizza appunto una sorgente di luce. Questa viene proiettata a breve distanza dalla resina, che solidifica nella stessa maniera della stereolitografia laser. Similmente, la LCD (Liquid Crystal Display) per indurire la resina sfrutta la retroilluminazione, tramite raggi ultravioletti, di uno schermo a cristalli liquidi.

Possiamo ricordare poi altre tecnologie, più o meno diffuse: material jetting (che polimerizza singole goccioline di polimero fuso), powder bed infusion (con cui l’oggetto è creato a partire da particelle di polvere fuse insieme, per esempio tramite laser), laminazione dei fogli (che crea appunto un oggetto incollando singole lamine una dopo l’altra), e tante altre ancora.

Quali sono i vantaggi dell’additive manufacturing?

Rispetto al metodo di produzione sottrattivo, l’additive manufacturing presenta diversi vantaggi e benefici che si ripercuotono sull’intera filiera e che, potenzialmente, potrebbero rivoluzionare interi settori nel prossimo futuro.

In particolare, possiamo ricordare che con la stampa 3D additiva è possibile produrre in maniera economica anche serie ridotte. Non c’è, infatti, uno “stampo” fisso o un macchinario progettato esclusivamente per un tipo di prodotto: ogni stampante che funziona con meccanismo additivo può realizzare, potenzialmente, anche dei pezzi unici, purché si cambi il progetto di base.

In questo modo, l’additive manufacturing permette una elevata personalizzazione del prodotto finale senza che questo renda necessario incrementare esponenzialmente i costi. Di nuovo, tutto sta in una semplice istruzione digitale, fornita tramite file alla macchina, e questo può apportare enormi cambiamenti in moltissimi settori. Si pensi a quello medico: una protesi, per esempio, può essere prodotta in maniera flessibile e personalizzata partendo da semilavorati unici, garantendo così un risparmio notevole per tutti.

La stampa 3D, di fatto, produce in una sola fase, così da rendere la prototipazione rapida, mentre i costi di progettazione delle eventuali varianti o dei cambiamenti di materiale vengono abbattuti.

Inoltre, in generale, con l’additive manufacturing è possibile realizzare oggetti in maniera più semplice da ogni punto di vista: i prodotti stampati in 3D hanno, a parità di funzioni, un minor numero di componenti, e quindi godranno di un assemblaggio più semplice che richiede meno attrezzature e lavorazioni.

Per lo stesso motivo, la riparazione è molto più facile ed economica per un prodotto stampato in 3D rispetto a uno realizzato in maniera tradizionale, poiché i pezzi di ricambio possono essere sempre stampati alla bisogna, in base alle richieste dei modelli principali. Ciò, ovviamente, aumenta anche la vita dei vari prodotti realizzati in questo modo.

Questo comporta, tra le altre cose, una riduzione degli inventari e dei magazzini, e quindi un calo dei flussi e dei trasporti, nonché degli sprechi dovuti alla eventuale sovrapproduzione. La creazione di un pezzo di ricambio può essere avviata ed eseguita all’occorrenza secondo le necessità di mercato, senza consumo di risorse, tempi e spazi.

Tutto questo garantisce una notevole flessibilità per tutta la filiera, dalle aziende, che possono adattarsi alla richiesta a grandi velocità, decentralizzare gli impianti e migliorare gli approvvigionamenti, all’acquirente, che avrà una maggiore possibilità di scelta e personalizzazione.

Aggiungiamo che la gran parte dei polimeri impiegati dall’additive manufacturing è riciclata, del tutto o parzialmente, oppure deriva da precedenti processi di lavorazione (è il caso delle polveri usare da certe tecnologie di stampa 3D). Dunque, l’additive manufacturing è estremamente più sostenibile rispetto alla produzione tradizionale, sia sul breve che sul lungo periodo: comporta meno costi, meno sprechi, minor consumo di energia, meno inquinamento dovuto ai trasporti e un miglior utilizzo delle differenti risorse umane e ambientali.